Questo che segue è il documento di considerazioni e proposte scaturito dai Meridionalisti in occasione del 1° Maggio in memoria dei lavoratori di Pietrarsa, anche quest’anno svolto a San Giorgio a Cremano (NA).

Il “cambiamento” diventa “rivoluzione” quando le visioni proposte, in questo caso quelle del Lavoro, si riesce a farle applicare. Dopo oltre 162 anni di sfruttamento coloniale, il paradosso è che il cambiamento sta partendo proprio da casa nostra, con modelli vincenti che superano quelli vecchi e stantii basati sulla sopraffazione dei diritti.

Le variabili del cambiamento

Il momento storico che viviamo ci pone davanti ad una serie di variabili “rivoluzionarie” che non possiamo ignorare se vogliamo guardare al mondo del lavoro, degli operai e del sindacato, con lo sguardo rivolto al futuro.

Sotto gli occhi di noi tutti si dissolve l’epoca di quel capitalismo verticistico, sopravvenuto alla rivoluzione industriale di fine ‘800. Quest’epoca, di concezione tutta nordica, ha dettato le regole dell’economia fino ad oggi. Anzi, fino a ieri.

Il moderno  vocabolario del lavoro

1) L’arretrata superficialità con cui si considerano le figure dei dipendenti e degli operai va rimossa e sostituita con quello che oggi, più modernamente, esse sono: persone. Persone “padrone” delle proprie idee e della professionalità, che mettono ogni giorno al servizio delle attività dove prestano la propria occupazione.

2) Imprese e aziende non possono più essere luoghi di “dipendenza” anziché di “dipendenti”, dove il “padrone” può negare le regole elementari della democrazia e della prevenzione.

La proposta del sud è alternativa a quelle centralistiche,  imposte e fallimentari

3) Dal Sud arriva l’unica proposta alternativa al modello capitalistico di cui sopra, capovolgendo quel concetto che vede gli Stati (ovvero noi contribuenti) impegnati a soccorrere mega imprese e multinazionali.  Secondo quella visione superata, quest’ultime sarebbero “…troppo grandi per fallire”.  In questo momento è vero esattamente il contrario. Migliaia di piccole e medie imprese sono state sacrificate sull’altare di quel concetto che ha legalizzato in automatico il loro sacrificio. Questi è stato perpetrato attraverso la mancata attenzione alle loro problematiche e privilegiando i diktat ricattatori delle “troppo grandi per…”, detentrici di una posizione di predominio per il numero di posti di lavoro rappresentati. Oggi non è più così. La svolta viene proprio dalle piccole e medie imprese le quali, proprio in virtù delle proprie dimensioni, hanno maggiore capacità di adattamento rapido ai cambiamenti dei mercati. Si sottolinea anche come molto spesso le PMI nascono da lavoratori, riorganizzatisi come autonomi o cooperative. Questi ex lavoratori erano spesso impiegati presso le pesanti ed ingessate grandi imprese, salvate e mantenute con le tasse pagate da tutti noi. In questi costi collettivi sono compresi gli operai che vengono licenziati per un fallimento o “tagliati” per un esubero.

Sulla iniqua  “tassazione alla fonte” per il lavoro dipendente

4) Per quanto riguarda il lavoro dipendente, torna alla mente una vecchia battaglia radicale: l’abolizione del “Sostituto d’imposta”. Si tratta del meccanismo per il quale il datore di lavoro ogni mese prende dallo stipendio del lavoratore le tasse da pagare anticipatamente allo stato.

Perché un lavoratore dipendente deve subire il centralismo e la burocrazia dello Stato e non può amministrare autonomamente le sue risorse?  Ma soprattutto perché, diversamente dalle Partite IVA, deve avere la tagliola del fisco ogni mese sulla sua testa?

Va superata la vecchia e inutile formazione per il lavoro

5) In Italia come altrove la formazione per chi deve trovare lavoro e per chi si deve aggiornare è di fatto obbligatoria, ma anche qui la politica è in colpevole ritardo. In Italia si spendono mediamente €700 a testa contro gli €830 della Spagna o i €1.534 della Francia. E si spende molto male, con risultati pessimi rispetto a quel che serve. Inoltre, una cosa incredibile è stata la “dimenticanza” di regole e controlli severi e costanti per gli studenti mandati a fare esperienza in posti di lavoro assai pericolosi. Storia vecchia e non sanata anche quella del “mercato” della formazione, gestito con rapporti tra domanda ed offerta trattati “alla vecchia maniera” dalla politica a tutti i livelli.

E’ gravissimo che si continui con una formazione di facciata, volta a preparare futuri lavoratori per professioni che nei prossimi anni, invece, scompariranno.  Questa è una dinamica che finisce per favorire i centri di formazione che percepiscono fondi in maniera clientelare. Tutto questo va a danno dei futuri lavoratori che hanno bisogno di essere formati per le nuove occupazioni, per i nuovi lavori. Si  finisce troppo spesso per fare la formazione per un lavoro che non c’è o che non ci sarà più.

Gli Ispettori dedicati al lavoro sono pochi e mal pagati

6) Gli ispettori sono pochissimi e mal pagati. Svolgono un’attività a rischio per la presenza diffusa di comportamenti criminali nelle imprese, dal lavoro nero alla diffusa evasione degli obblighi sulla sicurezza. Questo in interi settori come quello agroalimentare o delle costruzioni, o dei rifiuti.

In Italia, oltre alla questione irrisolta del lavoro nero, è notevolmente preoccupante il trend dei morti e infortunati sul lavoro. Eppure, non si vuole prendere il problema davvero sul serio.

Nel frattempo, il prodotto finale costa sempre di più, ma chi produce e chi lavora guadagna sempre di meno.

Dilagano povertà reale  e mancanza di alloggi pubblici

Questo riflette la scomparsa delle politiche di protezione sociale e degli alloggi pubblici nella visione dei governi degli ultimi decenni. In forte e costante aumento c’è la povertà, siamo oramai al 10% delle famiglie, ovvero oltre i 6 milioni di persone, e nessun piano organico per far fronte a questa piaga. Così come il 12% dell’inflazione nel carrello della spesa ed oltre il 6% strutturale portano gli stipendi medi in negativo rispetto al trend di tutti i paesi dell’Unione Europea. Ed a nulla serve togliere pochi spiccioli mensili dalle tasse lasciando mancette temporanee sulle paghe.

Ovviamente qui “al Sud”  occupazione e redditi sono molto più bassi che al centro nord, mentre la mancata occupazione, in particolare dei giovani e delle donne, assieme ai licenziamenti, sono da record europeo.

Si agli imprenditori che investono e no agli investitori-predatori

7) Ultimo capitolo relativo al Primo Maggio riguarda gli “investitori”, ovvero coloro che vengono ad investire soldi sul territorio per farne di più di quanto ne portano. Questo fattore produce certamente ricchezza nelle tabelle degli economisti e dei ragionieri, ma con il quadro che abbiamo prima descritto, alla fine si realizza una situazione che favorisce solo gli investitori. Questi personaggi investono in cambio di condizioni troppo favorevoli perché non sono più imprenditori puri ma appunto investitori e basta. Sono cioè l’espressione di una finanza che mette denaro momentaneamente in circuito esclusivamente per farne altro velocemente e basta. Finito il ciclo di investimenti e remunerazione si sbarazzano di tutto senza obblighi e spariscono.

L’Italia non ha una propria visione strategica del futuro

Ai governi Tosco-Padani manca una visione strategica di lungo termine. In Italia su questo versante siamo oramai al Far West. In particolare, le multinazionali estere aprono e chiudono a loro piacimento senza più avere obblighi sociali e spesso versano all’estero buona parte delle tasse. Basti pensare che numerose aziende di interesse “nazionale”  hanno sede in Paesi dove sono per loro  più convenienti la tassazione e la legislazione sanzionatoria.

Il Mezzogiorno è diverso dal resto del paese Italia

Al “sud” ormai è lampante che siamo di fronte ad un quadro ancora una volta “predatorio” da parte di aziende, holding e banche del nord.  Queste acquisiscono le attività sane esistenti nel meridione per accaparrarsi le fette di mercato, i portafogli clienti ed i migliori tecnici ed operai specializzati. Successivamente chiudono e spostano al nord le produzioni, oppure delocalizzano, impoverendo le nostre terre e spingendole ulteriormente verso lo spopolamento, facendo emigrare i giovani altrove.

Il modello autoctono del “sud” pensato da Nicola Zitara è vincente

L’autonomia e l’indipendenza produttiva e commerciale  al Sud hanno pagato.

Il turismo, creato, commercializzato, gestito ed amministrato al Sud è cresciuto, porta ricchezza e benessere, evitando sia lo spopolamento che l’emigrazione giovanile ovunque funzioni. Anche l’agroalimentare, quando la filiera produzione-commercializzazione-gestione bypassa il centro-nord, ad esempio rivolgendosi direttamente all’estero, ci porta gli stessi benefici.

Insomma, vanno cambiati i paradigmi anche per le produzioni artigianali ed industriali, con gli stessi criteri dell’agroalimentare di qualità e del turismo. In questo modo  il modello-sud può diventare vincente ed essere preso a modello anche dalla politica, evitando che l’Italia sia per l’estero una colonia, così come il Sud lo è per la Tosco-Padania da oltre 162 anni.

I Meridionalisti

 

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